Maggiofest 2013 PROGRAMMA

PROGRAMMA Maggiofest 2013

CINEMA

 Maggio italiano – Cinema d’autore

Personale di ALINA MARAZZI

 Giovedì 2 maggio ore 16,30  Sala San Carlo - Museo Archeologico

Giovedì 2 maggio ore 18,00 e 21,00 - Multisala Smeraldo

 La XXII edizione di Maggio Fest  dedica la Personale di Maggio Italiano a Alina Marazzi

Verranno presentati i suoi tre film (vedi schede allegate).

 Giovedì 2 maggio alle ore 21,00 nella Multisala Smeraldo, la regista Alina Marazzi introdotta dal critico Leonardo Persia, sarà presente alla proiezione del film Tutto parla di te.  

 ALINA MARAZZI

 Alina Marazzi (Milano, 5 novembre 1964) si è segnalata all'attenzione della critica e del pubblico internazionale con il film documentario Un'ora sola ti vorrei, ritratto della madre scomparsa attraverso il montaggio di sequenze filmate dal nonno paterno Ulrico Hoepli. Presentato a Locarno in Concorso video, il film riceve la Menzione speciale della Giuria, e in seguito il premio per il Miglior documentario al Festival di Torino. Dopo il successo di questo film, realizza Per sempre, documentario sulla vita monastica Vogliamo anche le rose, con il quale intende «ripercorrere la storia delle donne dalla metà degli anni Sessanta fino alla fine dei Settanta e metterla in risonanza con il nostro presente conflittuale e contraddittorio, nell'intento di suscitare una riflessione su tematiche ancora aperte se non addirittura rimesse grossolanamente in discussione». La sua formazione cinematografica avviene a Londra negli anni 80; di ritorno a Milano, alterna la regia di documentari per il cinema e la televisione, il lavoro di aiuto regista per il cinema (principalmente con Giuseppe Piccioni), la collaborazione con alcune realtà artistiche (Studio Azzurro, Fabbrica: quest’ultimo sotto la direzione artistica di Godfrey Reggio), e l’attività di formazione anche in particolari realtà sociali (laboratori video in carcere). Tutto parla di te costituisce l’esordio nel cinema di finzione, accolto con successo al Festival di Roma 2012.

 Alina Marazzi con “Un’ora sola ti vorrei” ha portato sullo schermo la vera storia di sua madre, l’infelice Liseli, morta suicida in una clinica in cui l’avevano rinchiusa per curarne la depressione e che invece l’ha uccisa. Cos’è che manca a questa ragazza ricca, bella, dolce e sensibile? Con questo film sua figlia Alina vuole abbattere quel tabù sociale che allora fu la causa della morte di sua madre e che è ben lungi dall’essere superato ancora oggi, sollecitando nello spettatore partecipazione a questa storia per molti versi “esemplare”.

Uno dei film più belli di Sulmonacinema 2005: un’altra protagonista irrequieta, un’altra vita spezzata. (Alessia Spagnoli, Close-Up.it)

 Vogliamo anche le rose (Italia / Svizzera, 2007) – r: Alina Marazzi – sc: Alina Marazzi – mo: Ilaria Fraioli – voci: Teresa Saponangelo, Anita Caprioli, Valentina Carnelutti -  mus: Ronin, Bruno Dorella – prod es: Francesco Virga -  dur: 84’

 Alina Marazzi nel suo ultimo documentario Vogliamo anche le rose ci mostra com'erano le donne italiane nel periodo a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70, in quell'Italia in cui malgrado il benessere economico esistevano ancora leggi che sancivano la patria potestà, l'illegalità. dell'aborto e il delitto d'onore, ma che sarebbero scomparse di lì a poco.

Questa volta le memorie private appartengono ai diari di tre donne comuni che sono state ragazze nel ventennio preso in esame, si tratta di donne molto diverse tra loro, che neanche si conoscevano, ma che la regista ha scelto come testimoni di un'epoca, dopo aver letto i loro diari alla Fondazione Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano.
Queste tre donne non hanno nulla di speciale, sono diverse tra loro e uguali a tante altre donne dei loro tempi.
Grazie a un notevole lavoro di ricerca in giro per archivi e cineteche di tutta Italia, la regista costruisce il suo film montando esclusivamente preziose immagini di repertorio, una mole considerevole e molto eterogenea di materiali che vanno dal pubblico al privato, dall'impegnato al frivolo, dall'indipendente al commerciale. Si tratta di dibattiti televisivi, interviste, reportage, filmini di famiglia, pellicole underground, pubblicità, illustrazioni e fotoromanzi amalgamati insieme in un turbine quasi frastornante di testimonianze e suggestioni visive, tutto è così rigorosamente d'epoca da far sembrare questo pezzo di storia lontano anni luce, a tratti folcloristico per l'ingenuità patriarcale di alcuni spaccati di vita familiare.

 Tutto parla di te  (Italia / Svizzera, 2012) – sc: Alina Marazzi, Dario Zonta, Daniela Persico – fot: Mario Masini– mo: Ilaria Fraioli – scg: Petra Barchi –  mus: Dominik Scherrer - prod. es: Gianfilippo Pedote - int: Charlotte Rampling, Elena Radonicich, Valerio Binasco, Maria Grazia Mandruzzato – dur: 83’

Girato con una consapevolezza ed una sensibilità che appartengono forse solo a chi ha subito ed è riuscito a superare certe situazioni limite della vita, Tutto parla di te di Alina Marazzi racconta l'intrecciarsi di storie di due donne piombate in uno stato di profonda tristezza.
Interrogandosi sulla depressione post parto, la regista opta per una commistione tra generi, rompendo spesso la barriera tra reale e finzione, inserendo nel racconto delle sequenze totalmente documentaristiche che non destabilizzano mai l'attenzione e che si mescolano perfettamente alla storia di Pauline, una splendida Charlotte Rampling.
Il personaggio di Emma, da così voce alle tante giovani madri che, se pur consapevoli del privilegio capitato loro, si sentono inadatte, non pronte, immature, per accogliere con il giusto amore il proprio figlio e trattarlo secondo i canoni richiesti dalla società.
Ma il film della Marazzi è anche un'opera sulla memoria, in cui immagini di repertorio originali e ricostruite, animazione in stop motion e fotografie in movimento aiutano a rimettere insieme i pezzi di storia di chi, fin da bambina, si è trovata a crescere sola dopo il suicidio materno.
Forte e al tempo stesso delicato "Tutto parla di te" conferma lo straordinario talento di una delle migliori registe del panorama italiano”.  (Antonio Capelluto, Cinemaitaliano.info)

 A 150 anni dalla nascita di Gabriele D’Annunzio

 CABIRIA (1914) di G. Pastrone

didascalie lette da Mauro Di Girolamo

Venerdì 10 maggio Ore 21,00 -Sala San Carlo- Museo Archeologico

 (Italia 1914); regia: Giovanni Pastrone; produzione: Giovanni Pastrone per Itala; sceneggiatura: Giovanni Pastrone; didascalie: Gabriele D'Annunzio; fotografia: Natale Chiusano, Augusto Battagliotti, Carlo Franzeri, Giovanni Tomatis, Vincent Dénizot; effetti speciali: Segundo de Chomón; scenografia: Giovanni Pastrone, Camillo Innocenti; musica: Ildebrando Pizzetti, Manlio Mazza- Interpreti:

Carolina Catena (Cabiria bambina), Lydia Quaranta (Cabiria), Umberto Mozzato (Fulvio Axilla), Bartolomeo Pagano (Maciste), Italia Almirante Manzini (Sofonisba),Gina Marangoni (Croessa)

Siamo a Catana (Catania) nel III secolo a.C. L'eruzione dell'Etna provoca la distruzione della città. La piccola Cabiria, figlia di Batto, trova scampo sulla spiaggia con la nutrice Croessa.

Film di ampie proporzioni, il più lungo fra quelli realizzati sino ad allora, annunciato come un'opera magistrale firmata da Gabriele D'Annunzio (che si limitò, in realtà, a scrivere le didascalie e a inventare il nome di qualche personaggio), presentato in prima mondiale a Torino, Milano e Roma con grande pubblicità e concorso di un pubblico colto e selezionato, Cabiria segna quello che possiamo chiamare l'apogeo non soltanto della casa di produzione Itala Film, di proprietà di Giovanni Pastrone (che curò la realizzazione del film, nascondendosi sotto pseudonimo), ma anche del cinema italiano muto. Nel senso che, al di là della grandiosità delle scenografie, della massa delle comparse, del tema affrontato, che aggiunge ai fatti storici non pochi elementi narrativi e drammaturgici di forte spettacolarità, è lo stile che domina la materia: i modi e le forme di una rappresentazione che si discosta dalle precedenti messinscene per puntare maggiormente sugli effetti spettacolari, con sapienti alternanze di piani, scioltezza di racconto, movimenti di macchina arditi (per quei tempi), intelligenti raccordi di montaggio. Non v'è dubbio che la storia si sviluppi secondo un tracciato che non si discosta granché dai modelli letterari e cinematografici ai quali si rifà. Romanzi e film popolari avevano già affrontato la materia con buoni risultati: la romanità, l'antichità in genere, aveva fornito non pochi spunti per narrazioni e rappresentazioni suggestive. Ma nel caso di Cabiria questi precedenti sembrano svanire, tale e tanta è la forza rappresentativa con cui Pastrone e i suoi collaboratori - fra cui un posto di rilievo occupa Segundo de Chomón - sono riusciti a conferire a un materiale di per sé non particolarmente nuovo. Il fatto è che, soprattutto nella prima parte del film e in particolare nell'ampia sequenza del tempio di Moloch e del sacrificio delle fanciulle, lo schermo pare per la prima volta arricchirsi di una dimensione tridimensionale inusitata. Per effetto certamente delle rare e discrete 'carrellate', che tendono a spingere in profondità lo sguardo dello spettatore e a conferire all'ambiente una terza dimensione; ma anche del taglio delle inquadrature, delle luci e delle ombre, della 'fisicità' dei personaggi. E se alcuni di essi, a cominciare da Fulvio Axilla, non escono dalle convenzioni interpretative del tempo, altri, in particolare Maciste, paiono davvero nuovi, per quel 'realismo' del tratto, dei movimenti, del comportamento, che costituirà uno dei caratteri salienti della recitazione cinematografica degli anni seguenti. A voler analizzare il film nei singoli episodi non è difficile riscontrarvi un eccesso di elementi eterogenei, un accumulo di situazioni non sempre necessarie all'intero sviluppo della storia o alla definizione dei personaggi e dei loro reciproci rapporti. (…). Ma l'insieme della rappresentazione, che si basa essenzialmente sulla successione dei fatti avventurosi, con tutte le implicazioni del caso, e sulla loro evidenza schermica (per il 'realismo' di cui si è detto), tende a mascherare i difetti, a sopravanzare i momenti di minore  tensione drammatica. Sicché, alla fine e nonostante talune lungaggini e ripetizioni, Cabiria conferma la sua natura e il suo valore di opera fondamentale per lo sviluppo del linguaggio cinematografico e per la ricerca di una nuova dimensione spettacolare. (Gianni Rondolino, Enciclopedia del Cinema, Treccani 2004)

 VideA

Videomakers in Teramo

Martedì 14 maggio ore 21,00- Mercoledì 15 maggio ore 21,00

Mercoledì 22 maggio ore 21,00

Sala San Carlo- Museo Archeologico 

 In Rassegna:

 Francesco Calandra. Dopo essersi laureato nel marzo 1993 in Lingue e Letterature Straniere, con tesi finale in Storia del Cinema, dal titolo Woody Allen - Stand Up Comic, ha svolto diverse attività nel campo degli audiovisivi e cinematografico.

La Palestra è un progetto di docu-fiction che nasce dal lavoro che il regista Francesco Calandra porta avanti da anni sul suo quartiere: San Donato.

L’esigenza dell’indagine sulle periferie è scaturita dalla volontà di opporsi a una “letteratura” che mostra questi quartieri soltanto quali vivai di violenza e illegalità, per mettere in risalto quanta Bellezza si possa ancora trovare nell’autenticità e genuinità della maggior parte dei cittadini che li abitano. 

Ma cosa succederebbe se alcuni ragazzi ROM e gagè si ritrovassero insieme a partecipare a un laboratorio di recitazione ripresi da una troupe cinematografica?

Questa è stata la sfida che il regista e i suoi collaboratori si sono posti nell’estate 2007, quando hanno deciso di cominciare a lavorare sul film. Hanno condotto un laboratorio cinematografico a cui hanno partecipato un gruppo di attori professionisti, alcuni ragazzi gagè non attori e tre ragazzi ROM del quartiere. L’obiettivo era quello di lavorare su una sceneggiatura di fiction che raccontava la storia dell’amore contrastato fra un ragazzo gagè e una ragazza ROM.

L’esperienza del laboratorio è durata appena qualche mese, ma è stata sufficiente per mettere in discussione l’intero copione. Regista e collaboratori hanno deciso che il film sarebbe diventato altro.

 Giustino Di Gregorio ∙ Antonello Recanatini

Giustino Di Gregorio. Sin dai primi anni ‘90 è stato un pioniere della scena del taglia e cuci all’
italiana, un’attività che gli è valsa la considerazione di un genio del
rumorismo mondiale come John Zorn che con la Tzadik Records ha prodotto il suo
omonimo debutto del 1999.
Gli Anni Zero li ha dedicati ad Iver and the drIver,(GhostRecords 2006)
progetto “benedetto” più volte da RadioRaiTre nei programmi “Farenheit451” e il
“Terzo Anello”, e nel 2009 all’autoproduzione di The Incredulous Eyes Project.
Nel 2010 inizia ha lavorare al progetto audiovisivo " frames in 8mm " un
archivio di foto e video estrapolati da nuovi e vecchi filmati girati in super8,
contemporaneamente lavora a un nuovo progetto musicale chiamato Amelie Tritesse
(NDA press 2011), l'Italia raccontata in 10 tracce di energico Read'n'rock di
provincia.
Nel 2011 dà vita al un nuovo progetto MATT-TA in collaborazione con Claudio
Pilotti, con due installazioni visive dedicate alla memoria

 La partitella 3:14 (1978) “Non è possibile tornare indietro, il tempo è 

irreversibile nella realtà ma le immagini invertite sono il nostro ricordo più
bello”.Una partitella tra ragazzi, la periferia di una piccola provincia, la
macchina da presa al posto del motorino, il regalo di un padre stupito della
richiesta insolita per un quindicenne. Le immagini sono state riprese da
Giustino a sedici anni e i protagonisti sono gli stessi protagonisti della sua
vita. Momenti rivissuti poi con uno sguardo diverso, a distanza di anni.
Il vento 4:09 (1977 Un altro video degli anni Settanta, un altro luogo
familiare raccontato a distanza di tempo: la campagna intorno alla propria casa, covoni che crollano, antenne che si piegano sotto la forza vento, la fatica di una gallina che non riesce a
camminare, la forza della natura, la fragilità dell’uomo qui come a New York.
Menhir 5:30 (2012) Si tratta di viaggio, di luoghi che diventano
altro, tempi che si dilatano abbracciando un passato ancorato alla terra e
proiettandolo nel futuro in una smaterializzazione di codici ancestrali.
L'installazione è stata presentata nel torrione rinascimentale di palazzo Re, a
Giulianova, nel dicembre del 2011.
ELICA 24 ( Cinemeccanica ) 3:00 (2013) Un'ultima opera. Non si tratta di un
video ma di quello che Giustino Di Gregorio e Claudio Pilotti, gli autori,
definiscono "cinema al contrario". E' molto difficile però presentare
quest'opera a parole: meglio sperimentare direttamente la macchina. 

 Antonello Recanatini. Musicista, scrittore, film-marker ed organizzatore di eventi. All'attivo tre cd ( My room streams in- Alone- Glass nerves), co-ideatore del Dead man singing, evento musicale che coinvolge vari rappresentanti della scena musicale abruzzese, dal 2009 da vita al progetto letterario, Collettivo Combat, insieme a d altri

scrittori, si esibisce, in performance / readings, caratterizzati da forte impatto

emotivo, con tematiche crude, e realistiche, ed una verve poetica, sottile e

dissacrante.

Negli stessi anni, inizia a girare cortometraggi, ( Violence, Alone, Zero Time)

minimali e concettuali allo stesso tempo, caratterizzati da inquadrature fisse,

e improvvisi colpi di scena, ad interrompere una staticita' anch'essa intensa

ed a tratti violenta.

Attualmente impegnato nella registrazione di un nuovo Cd, e nella

realizzazione di un nuovo cortometraggio, dal titolo Luxus. 

Violence. (2009).Violence , inquadratura dall'alto di una scacchiera, i protagonisti

“inesistenti" sono, l'allora campione del mondo di scacchi, A. Karpov( Bianco)

e lo sfidante al titolo G. Kasparov ( Nero).

Regia ( Antonello Recanatini) Camera ( Corrado Spinelli) Montaggio ed

editing ( Fabio Perletta)

Alone (2010). Un cortometraggio, fisico e personale, che puo' risultare irritante ed osceno, o rilassante e tenero. Regia (Antonello Recanatini) Camera ed editing ( Fabio Perletta) Musica ( E.Satie).

Zero Time (2010).Tempo zero nasce da una mia personale ossessione per il numero 33,

l'inquadratura fissa, mostra i trascorrere del tempo di un orologio,

indicativamente sono le 15 e 30 , l'atto violento col quale si conclude il corto,

e' il pugno che io stesso sferro, al quadrante dell'orologio, quando esso

raggiunge le ore 15 e 33, come desiderio di liberarmi tramite un atto

aggressivo, di tale ossessione.  

 Paolo Di Giosia. Nasce a Fano Adriano (Te) il 3 settembre 1961. Attualmente vive e lavora a Teramo. Appassionato di fotografia sin da ragazzo, fotografa prevalentemente in bianco e nero in modo analogico. Ha tenuto numerose mostre personali e ha partecipato a diverse collettive e fiere internazionali, collaborando con gallerie italiane ed estere.

Ha pubblicato i volumi fotografici Il Silenzio, Solitudini, Carezze sopra le rughe, Appunti (in collaborazione con G. Marcocci), ECT – Electro Convulsive Treatment. Da diverso tempo, sono parte importante del lavoro artistico di Paolo di Giosia i video fotografici, realizzati con l’aiuto di Vito Bianchini,

nati dal lavoro di ricerca, in giro per gli ex manicomi italiani, legati al tema della follia, o che costituiscono una  riflessione interiore sul momento più buio, più triste, della nostra storia: la tragedia della Shoah.

Esistenze diafane (d: 3’ 20”). Coinvolge lo spettatore con fotogrammi “al femminile”, in un angusto percorso nel fragile e precario mondo del diversamente presente dove tutto è sempre in bilico tra l’esistenza visibile e quella non visibile.

Daily report    (d: 5’ 40”). Confonde immagini con parole e il tutto è accompagnate dalla lettura fredda e distaccata dei rapporti giornalieri di un ex psichiatrico.

ECT - Electro Convulsive Treatment  (d: 4’48’’). L’apparecchio dell’elettroshock, sezionato quasi ossessivamente, disorienta lo spettatore in una sorta di scarica.

Salmo (d: 6’18’’). Il ritmo sincopato del treno racconta un viaggio, visualizzato dallo spettatore solo mentalmente, data l’immagine fotografica quasi ferma, un viaggio dove il terrore e la paura si elevano a preghiera.

Untitled A-13166  (d: 11’29’’). Percorre emozionalmente un piccolo tratto dell’esistenza all’interno del campo di Auschwitz di un “qualunque” deportato.

Il posto delle betulle (d: 8’00”). E’ il nostro occhio che guarda disorientato l’“ormai accaduto”, incredulo e infausto. Scruta, inerme, per cercare di capire ciò che è impossibile comprendere… quel “lontano” così “vicino”. Percepisce l’assurda mancanza, la paura, l’orrore, e trasmette all’anima un gelido soffio che ha il sapore dell’assenza, del vuoto, della morte, lasciandola in dolorosa sospensione. Birkenau in tedesco significa il posto delle betulle ed è proprio tra le betulle che termina il triste viaggio.

The Waiting Room (d: 3’25’’). Immagini di vita quotidiana “normale” all’esterno, accanto, intorno… al campo di concentramento, vicina ma distante allo stesso tempo, dove la tranquillità è illusione di se stessa, perché ciò che è accaduto potrebbe ancora accadere.

 TEATRO

Spazio Tre x Quattro

 

Domenica 5 maggio Ore 18,00 Spazio Tre Teatro

Un letto indiano 

Liberamente tratto da Un letto tra le lenticchie di Alan Bennett

con Roberta Santucci
elementi di scena e costumi Laboratorio Teatrale Spazio Tre

regia Silvio Araclio

produzione Spazio Tre – Tre Polveri Sottili

 Un letto indiano è liberamente ispirato a Un letto tra le lenticchie (A bad among lentils) : uno dei  monologhi della serie  Talking Heads, scritta nel 1987 da Alan Bennet per la BBC e divenuta poi popolarissima, trasmessa in radio, replicata nei teatri, decretata un classico moderno.

Susan, la protagonista di Un letto indiano è l’infelice moglie di uno stimatissimo vicario la cui vita comincia a cambiare quando conosce un negoziante indiano. All’inizio dell’opera la donna vive una sorta di disagio sociale che cerca di annegare nello sherry, ma ha comunque una certa libertà, può andare e fare ciò che vuole nella misura in cui lo fa con discrezione. Ma alla fine, quando si ritrova trasformata in un modello di donna, si trova completamente intrappolata, sepolta fino al collo in una vita dalla quale non c’è via di fuga.

La pièce è una brillante analisi del ruolo della donna, in particolare della moglie, del potere sempre meno forte della religione e del cambiamento della società contemporanea

 Alan Bennett è nato nel 1934 in Inghilterra, nello Yorkshire, nel quartiere operaio di Armley. Si laurea in Storia ad Oxford dove rimane per diversi anni come docente di Storia Medioevale,finché non abbandona il mondo accademico per dedicarsi al Teatro. Nel 1960 esordisce come attore e coautore dello spettacolo Beyond the Fringe. Nel 1968 viene prodotta la sua prima commedia, Forty Years On,  a cui seguono molti testi per la televisione, per il teatro per la radio, ma anche sceneggiature, racconti, romanzi e  molte apparizioni come attore. Nel 1994 Bennett  adatta per il cinema una sua  celebre e pluripremiata piece, The Madness of George (con il titolo The Madness of King George). Il film ottiene quattro nomination agli Oscar, compresa quella come migliore sceneggiatura. Bennett vince il premio come miglior regista.

La celebrità di Bennett riceve comunque una fondamentale impennata coi monologhi della serie televisiva Talking Heads (1988), censimento sulla gente comune…

L'ultima opera di Bennett è People andata in scena al National Theatre nel 2012.

Bennett è un maestro della tragicommedia i cui effetti derivano dall’ironia con la quale i suoi personaggi talvolta descrivono le loro situazioni anche se di tanto in tanto essi fanno cadere la maschera e lasciano intravedere la propria condizione di persone disperatamente sole, che si impegnano in uno sforzo per sopravvivere.

 Roberta Santucci

 Dopo aver conseguito gli studi classici frequenta i corsi di recitazione di Spazio Tre tenuti dal M° Silvio Araclio. Consegue il diploma di Recitazione presso l`Accademia Nazionale d`Arte Drammatica Silvio d`Amico di Roma e prosegue la sua formazione con i maestri N.Karpov, J.Sinisterra, K.Weinder, S.Main, A.Wirth, F.Ansalone. E` tra le fondatrici di  The Company, compagnia teatrale che collabora  con Michele Placido ed è impegnata nella produzione di spettacoli teatrali e nella realizzazione di progetti di sensibilizzazione e diffusione della cultura teatrale in territori problematici (Alétheia: Tor Bella Monaca per San Luca e  Officine culturali -Salto cicolano) e di Tre polveri sottili giovanissima associazione teatrale teramana. Ha ricoperto ruoli in produzioni televisive e cinematografiche  e affianca all`attivita` di attrice (Le Ombre regia S. Araclio,  I fatti di Fontamara regia M. Placido, Pene d’amor perdute regia F. Manetti, Cenere alle ceneri regia G. Smith…)  quella di formatrice in scuole e aziende  e di aiuto regia. Attualmente è docente di dizione presso la facoltà di Scienze della Comunicazione di Teramo

  Mercoledì 8 maggio ore  21,00- Spazio Tre Teatro

STAGIONE TEATRALE ATAM

Rassegna  Panorami di letteratura teatrale europea

Aspettando Godot

di Samuel Beckett

Spettacolo in due tempi

regia  Elena Sbardella

con Emanuele Aita, Francesco Sferruzza Papa, Federico Brugnone, Giovanni Serratore 

Vladimiro ed Estragone hanno un vago appuntamento con un certo Godot nei pressi di un albero che sembrerebbe morto. Arrivano Pozzo e il suo servitore Lucky. Di Godot nessuna traccia. Arriverà domani. Sera, notte, di nuovo giorno. Didi e Gogo (così si chiamano tra loro Vladimiro ed Estragone) aspettano ancora perdendo sempre più le coordinate spazio -temporali: non sanno che giorno possa essere, se quello davvero sia il posto giusto, non si ricordano cosa sia successo il giorno precedente, anche se molto probabilmente di giorni ne sono trascorsi diversi e l’albero che sembrava morto ora ha le foglie. Un’allucinazione o forse il passaggio a una nuova stagione? L’importante è attendere. Tornano Pozzo e Lucky, vanno via, ma di Godot nessuna traccia. Arriverà domani. Tanto vale la pena aspettare. Ma come passare attraverso la vita? Per forza d’abitudine, inciampando in vuoti di memoria che li sottraggono a ogni certezza, attori, loro malgrado, inchiodati al tempo e allo spazio di una tragicomica rappresentazione. E chi è poi questo Godot che stanno aspettando? Un futuro migliore o forse il Salvatore? La fortuna, la speranza di una nuova vita, di una fresca rinascita che possa sottrarci alle grida di morte che aleggiano nell’aria? È un Dio, il cambiamento, la lieta novella, l’annunciazione? Qualcosa da desiderare e insieme temere perché pur ignoto ci attrae? “Se avessi saputo chi è Godot l’avrei scritto nel copione”, dice Beckett! Tra scherzi, risate, lazzi e momenti di tensione drammatica che sfiorano il noir, Aspettando Godot non nega mai la speranza, pur ponendo il fallimento come condizione principale. Ma è lo stesso Beckett qui a venirci in aiuto, suggerendo che forse dal fallimento può nascere ancora qualcosa: “Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio” . Uno spettacolo dai molteplici livelli di lettura che il meraviglioso testo offre.

 Domenica 12 maggio ore 18,00 e ore 21,00- Spazio Tre Teatro

OLYMPUS PARK

Nudi di Dei su tappeto ispirati ai “Dialoghi con Leucò” di Cesare Pavese

 una creazione di Piergiuseppe Di Tanno

Suoni e luci Gabriella Di Tanno

Produzione Panini2Life

 Dove sono finiti gli Dei? I miti, una volta caduti invecchiati picchiati a sangue, dove sono fuggiti?..... Si sono fatti uomini una volta perduto l’Olimpo?... Sono convinto che siano abitanti delle strade, disperati perché immortali, senza più poteri, solo la condanna del non poter mai spegnersi. Li vedo apparire agli angoli dei marciapiedi, scalzi, seminudi, non creduti e tenuti a debita distanza a scagliarci addosso la loro verità: Sono Hermes!... Inutile, nessuna attenzione… Edipo, vecchio mendicante cieco, dorme sui cartoni in piazza davanti alla fermata della metro che prendiamo ogni mattina, sfiancato dal ripetere il suo nome, capace solo di far nascere risate sulle bocche di chi lo scansa: ex re di Tebe, ora ci supplica un centesimo. E se l’accattone buttato a terra gridasse di chiamarsi Tiresia, e noi riconoscessimo in lui l’antico profeta?... Perché alla fine Dio è Dio se uno crede che lo sia … Sospesa l’incredulità, tendiamo verso un qualcosa in cui avere fede. Come a teatro, quando si decide di credere all’ attore e non si dubita di nessuna delle sue parole. Olympus Park nasce con questi interrogativi, come un gioco che dà vita alla possibilità di interrogare questi archetipi divini, di concedere al pubblico di fare loro domande e soddisfare la nostra curiosità su punti di svolta delle loro esistenze, su quello che è stato di loro da quando sono scomparsi… In queste confessioni, interviste o Dialoghi come ha voluto chiamarli Pavese, il mito potrebbe aprire nuove stanze alla sua storia, suggerire verità segrete per una possibile diversa interpretazione di sé.   

 PierGiuseppe Di Tanno, nato a Teramo, dopo aver frequentato SpazioTre, si diploma presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” di Roma nel 2006. Lavora in questi anni, tra gli altri, con Lorenzo Salveti, J.S.Sinisterra, Sergej Tcherkasskij, Paolo Magelli, Toni Cafiero, Giancarlo Sepe, Marcello Magni, Benedetto Sicca, Massimo Di Michele, Marco Carniti, Juan Diego Puerta Lopez. Dal 2007 collabora intensamente con il Teatro Nazionale Croato ‘Ivan pl. Zaic’ di Rijeka. Al cinema ha partecipato di recente a “Venti Sigarette” di Aureliano Amadei, e a “Diaz-don’t clean up this blood” di Daniele Vicari. Il suo è un percorso di contaminazione: un’indagine tra il corpo e la parola, il teatro e la danza. Cura inoltre la preparazione fisica di diverse compagnie (Theatre La Balsamine di Bruxelles e IBB Sehir Tiyatrolari, Istanbul). Due le sue regie: W>>Intern, presentato a Teramo all’interno del Maggiofest 2011, e “People look like they are dancing before love”, che ha debuttato l’estate scorsa commissionato dal comune di Roma per i musei di Villa Torlonia. Attualmente è il direttore artistico del progetto di Physical Theatre Panini2Life www.panini2life.com  

Domenica 19 maggio ore 18,00 e ore 21,00-Spazio Tre Teatro

UNA BIONDA PER DUE

Liberamente tratto da Andy & Norman di M. Neil SimoAndy Vincenzo Macedone

Norman Piero Assenti

Sophie Eugenia Rofi

scene Mirko De Luca

costumi Bartolomeo Giusti

regia Silvio Araclio

produzione Spazio Tre

 Andy Mancini e Norman Gambino sono due ex compagni di scuola che convivono in una casa di proprietà dell’orribile signora Macchinini: Norman è uno scrittore che sbarca il lunario scrivendo soggetti per film porno e tenendo, sotto pseudonimo femminile, una rubrica di successo su Tutto maglia. Il suo obiettivo è portare a termine un musical, a cui non riesce proprio a trovare il finale. Andy gli fa da manager, rivestendo un altro scomodo ruolo: non avendo i due abbastanza quattrini per pagare l’affitto, è costretto a tenere buona la padrona di casa (che non compare mai) accompagnandola nelle sue  bizzarre scorrerie.

La loro inquieta convivenza viene sconvolta dall’arrivo della nuova vicina di casa: Sophie, una ragazza americana reduce da una figuraccia alle Olimpiadi di nuoto e fidanzata di un ufficiale dei Marines degli Stati Uniti. Norman si innamora subito e follemente di Sophie, arrivando a perseguitarla…

 Marvin Neil Simon (New York, 4 luglio 1927) è un drammaturgo e sceneggiatore statunitense.

Le sue opere vengono tradotte e rappresentate in tutto il mondo, facendo di lui uno dei più rappresentati commediografi viventi.

Ha iniziato la sua carriera come autore televisivo ed ha al suo attivo più di 40 commedie rappresentate a Broadway sin dal 1961, che vanno dalle commedie umoristiche degli anni '60 (A piedi nudi nel parco, La strana coppia, Appartamento al Plaza) ai lavori più introspettivi e autobiografici degli anni '70 e '80 (Il prigioniero della Seconda Strada, Capitolo secondo, Biloxi Blues, Risate al 23º piano).

Ha scritto, inoltre, numerosi libretti di opere musicali e sceneggiature cinematografiche e ha dato voce con le sue opere alla cosiddetta middle-class americana, dipingendo i suoi personaggi come uomini-medi spesso insicuri e paurosi, attraverso intrecci di sicuro effetto comico e brillante.

 Piero Assenti coniuga il suo talento di grafico con l'attività di attore nella Compagnia Teatrale Spazio Tre. Tra gli spettacoli lo ricordiamo in Kabarett atti unici da K. Valentin, W. Allen, A. Campanile, C'era folla al castello di Tardieu, Orsolina: un processo… di Silvio Araclio e Gioia Pedretti e in Gion & Gerry di V. Amandola, sempre per la regia di Silvio Araclio.

 Vincenzo Macedone inizia come attore di teatro di strada e di rievocazioni storiche .Frequenta i Corsi di Teatro a Spazio Tre e inizia una promettente carriera sia come attore di Cinema (Una storia di lupi di Cristiano Donzelli, Sound Track di Francesca Marra, …) che di Teatro (Gion &Gerri di V. Amandola, La Lezione di E. Ionesco, Cecè di L. Pirandello… per la regia di S. Araclio). Attualmente è attore e collaboratore della Compagnia Teatrale Spazio Tre ed è assistente alla regia di S. Araclio negli spettacoli finali dei Corsi di Recitazione.

 Eugenia Rofi nata a Teramo. Dopo aver frequentato i Corsi di Recitazione di Spazio Tre si laurea a Roma in Letteratura, Musica e Spettacolo e si diploma nel 2008 presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico. Partecipa agli spettacoli: Revisore, IOeIO, La Casa di Bernarda Alba, Macbeth… I fatti di Fontamara, di e con M. Placido, Amleto, regia di V. Rosati (Premio Sandro D’Amico , Festival dei due Mondi di Spoleto, 2010), con il Teatro Stabile delle Marche, ON WINNIE,  testo e regia V. Manna (Premio S.I.A.E. Talenti emergenti, Festival dei due Mondi di Spoleto, 2010),  Le Ombre (Premio “Buco nel sipario” 2011), Serata Fersen (Teatro Piccolo Eliseo, Roma), La Lezione di E. Ionesco, Cecè di L. Pirandello… per la regia di S. Araclio. Partecipa al programma di RaiEdu “ATTO UNICO” in onda su Rai3 come protagonista nella pièce La festa di S. Scimone. A Cinema partecipa nei film Il grande sogno e Vallanzasca- Gli angeli del male di M. Placido.

 LIBRI/POESIA

 Giovedì 23 maggio Ore 18,00 - Biblioteca Provinciale M. Delfico Sala Audiovisi

DI QUESTO MONDO

di Daniela Attanasio – Nino Aragno Editore

legge Bartolomeo Giusti

 Geometria per Daniela Attanasio, è «un pensiero solido che non fa sconti/agli inventori di follie», ed è il tema sottotraccia di questa raccolta: il rapporto fra il pensiero e la sua forma – la possibilità di pronunciarlo, di scriverlo (i «versi per dire le cose come sono») [...] Ma non è una poesia concettosa quella di Attanasio: meditativa, sì, però mai astratta. Riesce a essere concreta, senza essere minimalista, né solo enumerativa; fisica, senza essere viscerale. Assorta, direi, e insieme vigile – con un rigore, una serietà (in quel senso latino che lega il termine ai temi decisivi della nostra esistenza), tradotti in un tono: il tono di una voce […] È evitando interferenze («ora mi riesce meglio guardare la realtà senza interferenze») che si può forse intuire qualcosa ‘di questo mondo’. Questo: Attanasio lascia che i versi siano attraversati –qualche volta scossi- dall’enigma che il deittico non scioglie ma alimenta [...] I versi provano a trattenere l’intrattenibile, a dare consistenza (forma) all’inconsistente, all’evanescente –la luce di mezzogiorno, il sole che filtra dalle stecche delle persiane, l’aria fredda che passa dal finestrino. Non è forse tutto «di questo mondo», simile all’aria e alla luce? (Paolo Di Paolo)

  PITTURA

MOSTRA

Martedì 21 maggio ∙ Mercoledì 31 luglio Pinacoteca Civica

SOGNANDO PARIGI

L’ARTE ALLA MODA NELLA PITTURA ITALIANA DELL’OTTOCENTO 

 in collaborazione con Comune di Teramo ∙ Polo Museale Città di Teramo 

 Opening Martedì 21 maggio ore 19,00  

Mostra a cura di Gianluca Berardi e Paola Di Felice

con la partecipazione

26/04/2013

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